lunedì 29 novembre 2010

L’ITALIA POVERA

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L'Italia di allora: miseria e fame Nella foto, una coppia di vecchi immortalata a Prato nel 1890. Secondo l'inchiesta Jacini sul mondo agricolo, pubblicata a partire dal 1880, "nelle valli delle Alpi e degli Appennini, ed anche nelle pianure, specialmente dell'Italia meridionale, e perfino in alcune provincie fra le meglio coltivate dell'Alta Italia, sorgono tuguri, ove in un'unica camera affumicata e priva di aria e di luce, vivono insieme uomini, capre, maiali e pollame. E tali catapecchie si contano forse a centinaia di migliaia".

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Quei filo' nelle stalle Nella foto, un antico filò, cioè una veglia serale in un angolo della stalla. Si legge nella relazione dell'inchiesta Jacini: "La stalla è la parte principale della casa del contadino, è ad un tempo il luogo del bestiame, il salone e il santuario della famiglia. È nella stalla che si passano i lunghi inverni; è là che la padrona di casa riceve parenti e amici; là la famiglia lavora, si ricrea, mangia e dorme. Intanto che le donne cuciono, rappezzano o filano, gli uomini giuocano alle carte o se la passano discorrendo".

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La pellagra: troppa polenta Un malato di pellagra: dovuta al consumo eccessivo di polenta (33 chili pro capite di farina l'anno ma la media era nettamente più alta nelle regioni del nord) era la malattia delle tre D: dermatiti, diarrea, demenza. Il principale pellagrosario italiano era a Mogliano Veneto, tra Venezia e Treviso.

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Vino ai bambini: "fa sangue" Era così dura vivere nelle campagne padane e nella pedemontana veneta o lombarda che là dove c'erano le vigne i contadini integravano la dieta troppo povera a base di polenta "insaporita passandoci sopra un'aringa" con il vino: "El vin fa sangue". Secondo "La Rivista Veneta di scienze mediche", citata da Edoardo Pittalis nel suo libro "Dalle Tre Venezie al Nordest", a cavallo tra Ottocento e Novecento, su 12 mila allievi delle elementari della provincia "soltanto tremila non bevono, cinquemila bevono superalcolici, novemila bevono regolarmente vino e la metà ne abusa".

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Le lavandaie del Ticino Nell'immagine a cavallo tra Ottocento e Novecento, un gruppo di lavandaie al lavoro sotto il celebre Ponte Coperto: i quadri più antichi e le fotografie scattate ancora nella seconda metà del XX secolo mostrano come il mestiere, gli attrezzi e i costumi siano rimasti invariati nei secoli.

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Milano prima del miracolo Nella foto scattata prima della demolizione avvenuta tra il 1882 e il 1890, l'antico lazzaretto di Milano, di cui resta la chiesa (oggi San Carlo) e qualche pezzo in via San Gregorio: fino all'abbattimento il veccho edificio semidiroccato era occupato da decine di famiglie povere e la chiesa serviva da fienile. Perfino in provincia di Milano, secondo l'inchiesta Jacini, le stalle "di solito sono piccole, basse tenute chiuse con molta cura, massime d'inverno, troppo umide, sudice, fetenti e ovunque ingombre di ragnatele, le quali a detta di bifolchi sono necessarie per accalappiare le mosche. E in cotesti schifosi siti i contadini passano d'inverno gran parte del giorno, e tutte le lunghe sere!".

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La "tratta dei bianchi" La povertà negli ultimi decenni dell'Ottocento era tale, spiega Marco Porcella nel libro "La fatica e la Merica", che una fonte di guadagno "dovuta totalmente al sacrificio delle donne contadine" era allevare gli orfani al posto dello stato: "Erano quasi sempre illegittimi abbandonati (esposti) alla Ruota, che nelle città maggiori non mancava mai. Nei paesi, in mancanza della Ruota, li abbandonavano (o fingevano di abbandonarli) sui gradini delle chiese, sull'uscio del parroco o, in seguito, nelle mani della levatrice. (...) Una buona parte degli esposti, deboli, denutriti, infreddoliti, prematuri, moriva nei primi giorni. Per i sopravvissuti si calcolava come normale - in assenza di epidemie e circostanze eccezionali - una mortalità del 33 %. In maggioranza prendevano la via dei mon­ti, perché le balie contadine, a differenza di quelle cittadine, aveva­no superato, per abitudine e per necessità, il " pernicioso pregiudi­zio " che invece si diceva trattenesse quelle cittadine. Si credeva che il " figlio della colpa " trasmettesse alla nutrice, e quindi al fratello di latte, figlio legittimo, malattie immonde e terribili come la sifili­de, che in verità veniva diagnosticata come causa di morte o di gravi menomazioni nel 10% degli esposti. (..) Trascorso l'anno l'infante " da latte " diventava infante " da pane " e poteva essere allevato fino al dodicesimo anno d'età, dopo il quale l'ospedale cessava di corrispondere qualsiasi retta".

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Veneto, dolore e spavento La relazione del medico condotto Luigi Alpago Novello che aveva lavorato tra i contadini trevigiani nella seconda metà dell'Ottocento, all'epoca in cui fu scattata questa foto a una famiglia vicentina, toglie il respiro: "Gli individui di una famiglia di contadini sono valutati in ragione dell'utile che apportano. La morte di quelli che sono impotenti o poco adatti al lavoro o giacciono a letto da qualche tempo è un fatto che ha minore importanza e cagiona molte volte minor dolore della morte, non dirò di un grosso animale bovino, ma anche di una semplice pecora. (...) Se si ammala un bovino la famiglia si butta nella disperazione corre dal veterinario (se la cura è gratuita) o da un empirico ed eseguisce tutte le operazioni appuntino... Spesse volte si percorrono molti chilometri per chiamare il veterinario affinché venga a visitare un vitello "che ha poca voglia di mangiare"; si lasciano invece ammalarsi e morire i bambini senza far appello al medico o senza per lo meno eseguire le di lui prescrizioni".

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Contadini, vita grama Nella foto della Fondazione Cresci, una famiglia contadina di Fosciandora, in Garfagnana, all'inizio del Novecento. I progressi della medicina e le prime campagne per l'igiene fanno salire nel 1911 l'età media dei morti dal dato spaventoso di sei anni e mezzo degli ultimi decenni dell'Ottocento a 30 anni, ma la mortalità infantile resta altissima. In quello stesso 1911 i bimbi sotto i 5 anni rappresentano il 38% del totale dei morti: 285 mila su 742 mila.

da : Gian Antonio Stella
       ODISSEE
      Italiani sulle rotte del sogno e del dolore

Fonte

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